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Con i piedi ben piantati nella musica. Intervista a Marika Zorzi.

23-03-2021 21:47

Chiara Santato

Parliamo con, comunicazione, Padova, Marika Zorzi, giornalismo, sargent house, musica,

Con i piedi ben piantati nella musica. Intervista a Marika Zorzi.

Abbiamo chiesto a Carla Menaldo, responsabile dell'Ufficio stampa dell'Università di Padova, di raccontarci...

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Marika Zorzi è tante cose. Nata a San Martino di Lupari, in provincia di Padova, è giornalista professionista, scrittrice, responsabile della comunicazione di Sargent House Europa, una delle case discografiche più importanti del panorama musicale attuale. Da pochi anni lavora da Berlino, e in questa intervista ci racconta come la passione per la scrittura e la musica si sia intrecciata ben presto con il giornalismo e la comunicazione. Un punto di vista tutto da leggere, per capire meglio una professione che ancora "guarda" le donne di traverso.

 

Raccontaci della tua formazione e come hai deciso di diventare giornalista.

 

C’è un vecchio video di me che faccio finta di avere un microfono in mano e davanti alla telecamera intervisto mio nonno sul suo lavoro nei campi. Avrò avuto circa cinque anni. Sono sempre stata una persona che si fa e pone molte domande su come va il mondo e che ricerca la verità dietro all’ovvio. Ci sono tante persone là fuori che cambiano il mondo con piccoli gesti tutti i giorni e che lo rendono migliore con la loro arte e che hanno vite da raccontare forse più importanti dei famosi da grandi scoop da copertina. Io ho sempre voluto raccontare quelle storie straordinarie, parlare e conoscere quelle persone e poter comunicare a chi legge cos’ho provato io nel trovarmele davanti. Essere giornalista professionista è solo un titolo lavorativo a cui si arriva dopo un percorso di studi che per me è stato un liceo scientifico, una laurea in critica cinematografica, un master in giornalismo e un esame di stato. Penso che la passione per la ricerca, la curiosità di non fermarsi davanti all’apparenza e la voglia di raccontare le vite degli altri con umanità non te la insegna nessuno. Ce l’hai dentro a prescindere dal lavoro che arrivi a fare. Puoi fare errori di grammatica e mettere insieme periodi sconnessi, come capita a me certe volte in inglese – non scrivo un pezzo in italiano da minimo 4 anni – ma quella passione è universale e quando scrivi esce, sempre.

Ti occupi della comunicazione digitale di Sargent House Europe. In cosa consiste il tuo lavoro?

 

Il percorso che mi ha portato ad essere responsabile della comunicazione di Sargent House Europa è stato molto lungo ed impegnativo. Dopo anni di lavoro come responsabile comunicazione in Regione Veneto ero talmente stanca che ho deciso di dare una svolta alla mia vita. Volevo diventare freelance e scrivere di musica perché non potevo pensare di passare altro tempo come un’ombra che si trascinava in una quotidianità che la rendeva infelice. E così ho fatto. Prima ho provato in Italia ma mi sono da subito resa conto che purtroppo i giornali musicali hanno già una gerarchia prestabilita poco incline a dare spazio a nuove voci, soprattutto se pagate. Ho deciso allora di usare il mio inglese e spingermi oltre i confini italiani trovando una nuova casa editoriale negli Stati Uniti con CVLT Nation all’inizio e poi come redattore di New Noise Magazine di base a Berkeley in California e caporedattore di Gazette Musicale di New York. Ho iniziato a viaggiare e intervistare quegli artisti di persona, respirare l’atmosfera e provare il suono di tutte quelle venue internazionali che hanno fatto la storia della musica. Le collaborazioni si sono moltiplicate e l’anno scorso è arrivata Cathy Pellow con la proposta di fare parte di Sargent House.

È stato un sogno avverato per quella ragazzina di San Martino di Lupari con il padre pavimentista e la madre segretaria. Essere una donna e il punto di riferimento europeo di una delle case discografiche più importanti del panorama musicale attuale è un onore per me.

Lavorare con Cathy che fa base a Los Angeles e tutti i nostri artisti che per la maggior parte si dividono tra East e West Coast non è sempre semplice per il fuso orario ma dopo un po’ ti ci abitui. Sargent House richiede molta versatilità. Mi occupo dei social media degli artisti e dell’etichetta, faccio grafiche e video, scrivo brevi comunicati stampa. Noi siamo come una famiglia, ogni uno aiuta come può.

Scrivere di musica deve essere prima di tutto una passione. Come è nata e per chi scrivi?

 

Uno dei primi ricordi della mia infanzia che è ancora vivido come fosse ieri è la copertina di Atom Heart Mother dei Pink Floyd sopra il bancone della credenza in cucina. Io lo chiamavo “l’album della mucca” e lo odiavo profondamente come tutti i vinili di mio padre. Ogni domenica lui ci faceva ascoltare tutti questi dischi, dai Sabbath ai Beatles, e io volevo solo mettere i miei dischi di Cristina D’Avena e dei cartoni Disney – sì perché a casa mia c’erano solo vinili anche per i bambini. Grandi battaglie musicali con io che nascondevo tutti i suoi dischi preferiti il sabato per ascoltare i miei la domenica. Non sapevo ancora che quegli album stavano entrando nella mia testa per non lasciarla mai più. Ringrazierò sempre mio padre per questo. I miei gusti musicali hanno poi seguito strade molto diverse dalle sue spostandosi verso gli angoli più estremi e underground di punk e metal ma ci sono dischi come Harvest di Neil Young o Hero di Bowie che ci ascoltiamo ancora insieme. Ogni generazione segue i propri bisogni musicali. La mia adolescenza è stata molto arrabbiata e ho cercato gruppi che potessero esprimere quella frustrazione verso una società che non mi andava giù, e che ancora voglio sia diversa. Molti di quelli artisti li ho conosciuti, siamo diventati amici, è come se facessimo parte della stessa famiglia musicale. Scrivere di loro per New Noise Magazine, Gazette Musicale, Idioteque etc per me significa supportarli e dare modo a tutti di conoscere la loro musica.

Sei di base a Berlino da poco. Come è stato questo ultimo anno? 
 

Mi sono trasferita a Berlino nel luglio del 2019 perché ero stanca di prendere 4 aerei al mese. Qui passano tutti i tour ed è una città ancora vivibile in un punto strategico. Mai avrei pensato di lasciare il Veneto per venire qui. Sono sempre stata innamorata di Londra che trovo comunque troppo caotica. Io sto bene sulle montagne e in mezzo alla natura, Londra non ti offre niente di questo ma se guardi bene l’aerea intorno a Berlino è sorprendente quanto verde la circondi. Hai i vantaggi della grande metropoli con le foreste a una corsa di treno. Questo mi ha salvato nell’ultimo anno. Mi sono presa una bici nel marzo del 2020 e l’ho consumata a forza di km per raggiungere quel verde e passarci più tempo possibile. Lavorativamente parlando sono una dei fortunati che non ha mai smesso, anzi, dato che la vita si è spostata dietro ad uno schermo tutto si è amplificato. Mi manca però il contatto umano, incontrare persone nuove e tutto quello che la metropoli può offrirti

Hai scritto due libri per ragazzi. Sei piena di interessi diversi. Raccontaci di queste due storie.

 

Ho pubblicato ‘Lo Scankranio Portaguai’ con Errekappa edizioni nel 2017 e ‘Juniper, storia di una volpe’ nel 2020 per Eretica edizioni. Sono due libri molto diversi tra loro ma accumunati dallo stesso importante messaggio: credi nelle tue possibilità e non permettere mai a nessuno di dirti che non sei abbastanza. Il primo racconta la storia di Bru Pins, costretta a frequentare una scuola d’arte per cui non è portata ma con la grande dote di essere un’inventrice. Bru riesce a costruire lo scankranio, una macchina che traduce i pensieri in disegni, che la porterà a combattere contro un professore dai malvagi intenti. Il secondo parla di Juniper, una volpe che viene catturata e portata a Londra per essere venduta ma che riuscirà a scappare e svilupperà un forte odio per gli umani che sono una vera amicizia potrà guarire. Nei miei libri c’è tanto di me e della mia storia personale. Nomi al contrario, personaggi con le stesse sembianze di persone reali, riferimenti cinematografici e letterali, situazioni in cui mi sono trovata e che avevo bisogno di esorcizzare. I miei libri non hanno una vera e propria fascia d’età. Io dico che sono dai 10 ai 100+ perché certi concetti non posso essere categorizzati.

Quello che voglio trasmettere con le mie storie è che non c’è nessun obiettivo inarrivabile se si hanno la voglia, la determinazione e il coraggio per cambiare strada. Non c’è mai un limite massimo per sentirsi felici e realizzati. Basta solo volersi bene, rispettare gli altri e soprattutto sé stessi.


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